16 Marzo 2021

Stoffe

La prima volta pensò che il sonno appena abbandonato gli stesse giocando un brutto scherzo.
La seconda volta che la sua mano destra aveva accarezzato il fianco opposto del suo corpo invece non aveva più avuto dubbi: era lì, sotto le dita, all’altezza delle ultime costole; sentiva la sua pelle tirare se lo trascinava verso il basso come stava facendo.
Le ginocchia gli cedettero appena nell’accertarsi dei margini sfrangiati. Ne percorse la superficie in tutta la sua lunghezza, un paio di centimetri al massimo, uno dei lati avvinghiato alla pelle.
Lo riconobbe e quella famigliarità si accompagnò ad un brivido. Non era possibile.
Anni di lavoro riaffiorati alla mente insieme a dolore e rabbia. Sentiva già i suoi muscoli contrarsi di nuovo per lo sforzo e la fatica passati.
Che ad un certo punto fosse finita era stata prima solo una timida speranza, fatta di banale e nuda pelle rosata; di indagini accurate ogni mattina su ogni cm del suo corpo specchiato.
I mesi passavano, rimaneva ancora un dolore sordo che ogni tanto rimbombava sotto la superficie cutanea ma più nessuna traccia visibile. Era allora che aveva cominciato a crederci davvero.
Accarezzava ogni giorno le cicatrici legate agli strappi bruschi che non aveva saputo evitare e solo ultimamente non sentiva più quelle fitte lancinanti che lo avevano accompagnato per mesi. Solo un lieve pizzicore, quasi solletico sotto alle dita. Le avrebbe avute addosso per sempre. Lo sapeva. Impunture della pelle, alcune rigonfie e mal riuscite, ironica memoria tattile del destino che gli era toccato in sorte.
Comunque ce l’aveva fatta, aveva vinto lui, il vestito che gli era stato cucito addosso era stato fatto a pezzi. Eredità inconsapevole di chi ne era stato avvolto prima di lui, inspessito nella trama da passaggi generazionali passati sotto silenzio. Ma lui era riuscito nell’intento di essere libero. E ne era stato orgoglioso, molto.
Cosa cazzo ci faceva, ora, lì, quel pezzo di stoffa, quindi?
Tirò appena un po’ più forte, e una scossa lucente e dolorosa risalì dai suoi nervi fino a bruciargli la pelle. Ebbe comunque la tentazione di continuare. Ma temeva quanto avrebbe sanguinato e il fottuto male che avrebbe sentito. Ancora una volta. Porca puttana, no.
Gli girava la testa.
Chiuse gli occhi e si impose un lungo respiro, sentì l’aria fredda attraversargli la gola, scendere nei bronchi e poi allargarsi in ogni direzione dal di dentro fino a fermarsi proprio in quel punto, qualche centimetro sotto la sua ascella.
Riaperti gli occhi di scatto guardò appannato il brandello di cotone verde oliva che da lì penzolava immobile.
Cosa cazzo avrebbe dovuto farci, ora?
I segnali di quel ritorno, a volerli guardare, c’erano stati. Era da un paio di giorni che la sua pelle era nervosa e i suoi muscoli tesi. Avevano provato entrambi a trattenere. Sospettava c’entrasse quello che era successo un paio di giorno prima al lavoro. Una banale perturbazione, a uno sguardo da lontano. Ma lui dentro lo aveva sentito quel rumore. E aveva cercato di ignorarlo, anche. La macchina da cucire si era probabilmente rimessa in moto fin da subito. E aveva cominciato a tessere trame da antichi cartamodelli. Erano ancora lì, infilati dentro a qualche cassetto polveroso della sua anima.
Queste consapevolezze gli regalarono finalmente qualche respiro meno affannoso. E insieme il pensiero che, se era rispuntato solo quel pezzo, il vestito davvero non doveva essere più intero. Provò a dirsi che potevano esserci nuovi modelli da pescare in altri cassetti. Era certo ce ne fossero di più moderni là dentro. Insieme a rotoli di stoffe ancora da ritagliare.
Ma in quel momento rimaneva solo un’ipotesi, un pensiero che fluttuava nell’aria lontano da lui, imprendibile. Mentre il dolore che avvertiva, quello era lì, reale, in corrispondenza della pelle bucata dal pezzo di stoffa verde. Accarezzandosi il torace avvicinò di nuovo la sua mano al punto dolente. Cercando di usare più delicatezza possibile tastò la ferita con l’indice e il medio. Non era un taglio così profondo. Sfiorò anche il brandello di tessuto facendo molta attenzione. Era ruvida e spessa questa stoffa di altri. Non faceva proprio per lui, amante dei colori sgargianti e dei tessuti morbidi sulla pelle. Carezze delle sue dita in cerchi concentrici si allontanavano e si riavvicinavano alla ferita. Carezze delle sue dita a lenire il dolore e offrire alla sua pelle scampoli di ritrovata fiducia.

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COMMENTI
ESPANDI

Profondisdimo, complesso.

Grazie Chiara. Grazie davvero.

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