25 Marzo 2021

Blu – Giorgia Tribuiani

“Cara Ginevra,
Ho pensato di scriverti. Con un po’ di timore, anche, per come ti possa arrivare questa incursione non richiesta di una sconosciuta nel tuo mondo.
Lo faccio con tutto il rispetto e la cautela possibili.
Ma anche con tutto il mio desiderio di dirti e la fiducia che ho nella tua capacità di scegliere se leggermi.

Avrei voluto tanto incontrarti quando avevo diciott’anni.
Mi hai fatto ricordare quando ho preso in prestito dal comodino pieno zeppo di libri della mia mamma, “Le parole per dirlo” di Marie Cardinal. In prestito mica tanto dopo tutte quelle righe sottolineate. Ce l’ho ancora io, quel libro.
Non fare quella faccia, se puoi, Ginevrablù. Quelle righe parlavano di me, di come stavo io, di qualcosa che mi apparteneva come nessuno aveva fatto mai, prima.
Sì, è vero, c’erano parole che rimanevano oscure, e altre che giudicavo ferocemente, ma comunque potevo riconoscere quanto tutto quello che c’era scritto c’entrasse in qualche modo con me.
Era adulta, Marie, e parlava da grande, ma le conoscevo anche io quelle cose inconfessabili che si agitavano dentro in continuazione, ed ad ogni rimbalzo lasciavano ferite che sanguinano e che non sai come curare. Le parole che non dici, quelle che nemmeno puoi pensare, quelle che non vorresti sentire.
Lo puoi capire bene tu.

Certo, poi ti arrangi come puoi, organizzi strategie accurate di difesa, alzi muri e costruisci rituali. E ti dividi in due. Perché tutto insieme non ci sta.
I pensieri si focalizzano su un tutto che tenga occupato lo spazio. Più spazio possibile. In modo che quella pallina impazzita e appuntita debba per forza fermarsi da qualche parte, quanto mi sarebbe piaciuto!, o almeno non farsi sentire per un po’, sarebbe bastato, provocare meno dolore nei suoi rimbalzi.
A volte la pallina non la vedi nemmeno. Ma lei corre, salta, si gonfia. E ferisce. E tu sanguini. Dietro i tuoi muri alti e spessi.
Hai presente, Blu, tutto questo, vero?

Sarebbe stato bello leggerti allora, cara Ginevra. Oggi ho fatto fatica, te lo confesso. Chissà se sarebbe stato lo stesso nei miei diciott’anni. Ci ho pensato. A quarantuno ti ho letta tutta d’un fiato, fino ad un certo punto. Ma poi mi sono dovuta fermare. Mi sono dovuta ricordare di respirare, anche.
Sono stata trascinata da te verso di te, verso Blu, verso Ginevra, e ad un certo punto ho frenato bruscamente e ho chiuso.
Per quanto può valere ti garantisco, Blu, che ha avuto molto più a che fare con una vicinanza che con una distanza.
Avevo bisogno di staccarmi dall’assoluto dei tuoi (e dei miei) pensieri
Dalle tue (e dalle mie) colpe
Dalla tua rabbia (che è ancora la mia)
Dal tuo amore per Dora (e dalle mie ossessioni. Ne abbiamo tutti, sai? No, questo l’ho detto per consolarci, e non lo posso sapere, ma io sì, io senz’altro, ne ho avute)
Da Lea (bella), dal suo naso, dalla tua mamma (e dal mio naso, dalla mia gelosia, dalle mie paure)
Dal tuo contare per sopravvivere, per espiare, per sopportare (e dal miei modi di allora per stare a galla)
Dalle tue (e dalle mie) angosce.
Perdonami, se puoi, per questo.
Puoi capirlo, forse, in fondo.

Poi sono riuscita a tornare, Ginevra.
Perché mi sono ricordata che per me oggi non è più tutto lì, c’è altro, c’è anche altro.
Oggi lo so. E so anche che in quei momenti, in quel tempo, è tutto lì, altro non c’è proprio.
Si è da soli.
O si pensa di esserlo. E dunque lo si è.
E sono tornata perché lì in quel momento non c’ero più io, ma c’eri tu.
C’era il desiderio di esserti accanto.
Sono tornata per andare fino in fondo.
Per te, credo, e per me, senz’altro.

Cara GinevraBlu,
sono tornata perché non fossi sola.
Perché ora lo so che non sono sola.
E sola non sei nemmeno tu, non più almeno, dal momento che qualcuno sa delle tue palline impazzite dentro.
Basta scoprirsi un poco, non serve svelarle proprio tutte, non da subito, almeno. Forse nemmeno mai.
Ma questo l’ho scoperto con il tempo, io.

Una cosa ancora vorrei dirti: questa possibilità che hai di esprimerti attraverso il disegno, la scultura, attraverso un’ arte che non richiede parole, è un varco prezioso tra un dentro e un fuori di noi che talvolta comunicano passando attraverso maglie troppo strette per potersi dire veramente qualcosa.
Invidio un po’ chi lo possiede. Ma intanto so quanto nutrimento dia alla mia vita questa dote di altri.
Lascia che rimanga a servizio di te stessa, Ginevra, se puoi.
Difendila finché potrai.
Lasciala andare.
Lasciala parlare.

E infine, cara Blu, sono tornata per dirti grazie.
Per il coraggio che hai avuto di regalare te stessa a Giorgia perché potesse raccontarti. Perché è solo quando qualcuno te lo racconta così, tutto questo, che scopri, che senti, che davvero non sei da solo.
A te, Blu, grazie. Di cuore.
E a Giorgia per essere arrivata fino in fondo per prima”.

Carolina

Blu di Giorgia Tribuiani

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