23 Febbraio 2021

Legarsi alla montagna

E’ il titolo di uno dei racconti del libro che sto pigramente sfogliando.
Nella mia mente appaiono ricordi sparsi e avvolti in gomitoli confusi.
Delle funi delle ferrate tese a tagliare i fianchi delle montagne.
Dell’ unica arrampicata sperimentata per gioco insieme all’esperienza concreta della fiducia che ci vuole a lasciare che qualcuno da terra faccia per noi sicurezza.
Di un romanzo letto tanto tempo fa. Storia vera di una scelta, drammatica e traumatica: tagliare o non tagliare la corda che lega al compagno di cordata ferito e ormai ritenuto perduto?

Filo azzurro
Legarsi alla montagna.
8 Settembre 1981, Ulassai, Sardegna. Un nastro celeste lega la montagna al paese.
Un’opera d’arte proposta dall’artista Maria Lai più di un anno prima. “Che però potrà realizzarsi solo se gli abitanti del paese accetteranno di legarsi gli uni agli altri. Casa dopo casa. Balcone dopo balcone. Non la farò io, la faranno loro!” così deve aver detto lei ai funzionari del Comune. E io penso abbiano storto il naso diffidenti, nella migliore delle ipotesi. “Avevamo chiesto di realizzare in piazza un monumento ai Caduti. Non sarebbe stato più semplice?” qualcuno avrà bisbigliato nei corridoi.
E invece da quel momento aveva preso il via un anno di lavoro, fatto di chiusure e aperture, di discussioni e compromessi. Così, lo immagino io, almeno.

Filo rosso
Ho cominciato a figurarmi i difficili rapporti tra vicini di casa, le riunioni di condominio anche, “Basta, adesso votiamo. Chi è favorevole?” e il dolore e la rabbia nel ripensare a rapporti gelati da anni o incancreniti in conflitti eterni e insanabili. E poi le discussioni dentro alle mura domestiche: “Non se ne parla neanche”, “E invece io dico di sì. E il balcone dà sulla mia camera. Per cui non potrete impedirmelo”. Chi decide? Il capofamiglia, la maggioranza? “Chissenefrega. Fate quel che volete”.
Ho pensato che ci sarà certo stato chi avrà ceduto per non fare brutta figura, per sfinimento o perché “Voglio proprio vedere se anche gli altri ne avranno il coraggio”.
Ma ci saranno anche stati quelli che, con sorpresa reciproca, da quel filo azzurro teso tra due abitazioni saranno riusciti a tessere relazioni che durano ancora.

Filo giallo
Un lavoro di tessitura delicato, in cui ciascuno è stato chiamato a scegliere cosa farne della sua parte di fettuccia azzurra. “Allora, che si fa? La leghiamo o la buttiamo?”.
E’ simile allo sforzo che ci è stato chiesto in quest’anno di pandemia? Non lo so, ma il mio filo si unisce a questi pensieri.
Accetto di legarmi a te attraverso la responsabilità dei miei comportamenti.
A te che sei altro da me, a te che sei coinvolto insieme a me in questo che ci sta accadendo. Ma che rischi forse più di me. Per età, per malattia, per circostanze della vita.
È stata una fatica per molti, per me sicuramente, mantenersi aperti nel vedere un fine e una responsabilità comune nelle regole che ci sono state imposte. All’ inizio era più facile, c’era la paura per noi e per gli affetti intorno, e l’angoscia nel leggere dei morti, e nell’assistere alle nostre vite stravolte da qualcosa di inimmaginabile. Poi è arrivata la fatica del tempo che passava e l’insofferenza crescente di non saperne prevedere la fine. Insieme alla rabbia nell’ assistere impotenti a chi alle regole non presta la stessa nostra attenzione.
Io ho sentito la spinta a liberarmi dalle imposizioni e a volte ho faticato a continuare a vederne il senso; mi sono dovuta domandare di nuovo per chi o cosa lo stavo facendo.
Immagino Ulassai come lavoro e sforzo collettivo nel mollare la presa su di sé, sulle proprie istanze per guardare ad un’appartenenza più grande. Prima ancora che io e te. Noi.

Filo verde
Noi e Lei. La montagna.
La montagna come un qualcosa a cui legarsi ed appartenere tutti, senza distinzioni. Un nuovo filo mi porta a domandarmi se sia stata proprio lei a consentire di fare il passo verso l’altro. Ho pensato al rispetto e alla dedizione che le porta chi vive ai Suoi piedi e conosce il suo potere.
Era per lei che lo si faceva? Non per il vicino che avevano accanto. Forse questo ha reso le cose più facili.
E se così fosse, noi, ora, cosa abbiamo di più grande, che ci lega? Il discorso è certamente complesso: Dio, per chi crede, ed etica. Parole enormi.
Il seme dell’umano, per usare le parole del filosofo Pietro Barcellona.
La spinta e la scelta di divenire persone, direbbe un altro filosofo, Roberto Mancini. Possibilità che tutti in quanto uomini e donne, in potenza possediamo, e che siamo chiamati ogni giorno a cercare di esprimere con il nostro essere e il nostro divenire. Pensieri enormi da cui, forse per istinto di sopravvivenza, un nuovo filo mi allontana.

Filo blu
Un moto di diffidenza mi fa domandare se sia davvero possibile questa comunanza. Se non sia utopia o solo falsità. .
Ma gli abitanti di Ulassai alla fine hanno scelto che il nastro non si mostrasse nello stesso modo in tutti i legami: fili tesi a segnalare relazioni conflittuali, addobbati invece di pane dove vi erano anche legami di affetto tra le famiglie.
Ho letto una faticosa ricerca di autenticità in questa soluzione. E il tentativo di non negare conflitti e difficoltà della realtà.
Insieme alla possibilità di legarsi e rispettarsi in un noi che non preveda necessariamente affetto e vicinanza. Lo dico sempre ai ragazzi quando lavoro nelle classi perchè ne sono profondamente convinta: l’ affetto è faccenda intima, basato su affinità spesso non spiegabili, non è sindacabile, né negoziabile. “Ma noi possiamo comunque trovare un modo di stare tutti meglio insieme nelle mattinate a scuola?” ha chiesto uno di loro nell’ ultimo incontro.
E’ un noi spesso difficile perché fatto di piccole rinunce alle intemperanze dei nostri tanti Io alla ricerca anche legittima di riconoscimento e considerazione.


Il libro è “Noi siamo tempesta. Storie senza eroi che hanno cambiato il mondo” (Michela Murgia).

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